TRUMP HA PERSO LA FIDUCIA DEGLI AMERICANI: IL 51% DISAPPROVA LE SUE CAZZATE, A SUO FAVORE SOLO IL 43%
VIOLARE NORME ED ACCORDI INTERNAZIONALI, RENDENDO ILLEGITTIMO IL PROPRIO COMPORTAMENTO, LEGITTIMA I REGIMI AUTORITARI A FARE LO STESSO
Trump continua a beneficiare del sostegno dei suoi elettori più convinti (i cosiddetti MAGA voters), ma si sta riducendo quello degli elettori in generale.
Secondo un sondaggio di Economist/You Gov del 5-8 aprile, quel sostegno è passato dal 49 per cento (all’inizio del febbraio scorso) al 43 per cento (due mesi dopo), con più della metà degli elettori (51 per cento) che disapprova la sua job’s performance.
Come spiegare una politica presidenziale così contraddittoria? Per alcuni osservatori, la causa va ricercata nella persona del presidente, incapace di ascoltare e ignaro della complessità (per non parlare della sua volgarità personale). Certamente la personalità di Trump conta, ma i suoi difetti sono ingigantiti da almeno due fattori.
In primo luogo, dall’organizzazione della Presidenza. Trump si è circondato di incompetenti e sicofanti, il cui merito è la loro lealtà assoluta nei suoi confronti. Persone di questo tipo non possono metterne in discussione le scelte. Chi potrebbe farlo (come il segretario al Tesoro, Scott Bessent), parla poco perché avviluppato da conflitti d’interesse.
Vi sono poi i miliardari suoi amici che, avendo avuto successo negli affari, pensano di sapere mediare nei conflitti in Medio-Oriente o in Ucraina. Come se non bastasse, attraverso Elon Musk e il suo DOGE (Department of Government Efficiency), interi apparati di competenze […] sono stati smantellati.
In una presidenza simile, quando si verificano divergenze, gli argomenti lasciano il posto agli insulti. Si pensi al conflitto tra Elon Musk (che, peraltro, non ha nessun ruolo formale) e Peter Navarro (consigliere del presidente per il commercio) relativo ai dazi. Il conflitto è finito con il secondo che ha accusato Musk «di non essere un imprenditore ma un assemblatore» e con il primo che ha accusato Navarro «di essere più stupido di un accumulo di mattoni».
In realtà, Musk non vuole i dazi in nome di mercati aperti e deregolati che favoriscono le sue imprese (una deregolazione che vuole imporre anche al mercato europeo), mentre Navarro mira a proteggere l’economia tradizionale con la sua politica iper-protezionistica (economia che verrebbe invece penalizzata per gli effetti inflazionistici di quest’ultima).
Ma di tutto ciò non si discute. Una presidenza simile non può che magnificare i difetti di Trump.
In secondo luogo, la contraddittorietà di Trump è accentuata anche dai suoi “istinti culturali”.
Le sue decisioni e dichiarazioni allontanano gli amici, ma non conquistano i nemici. Il suo (ingiustificato e imperdonabile) maltrattamento pubblico del presidente ucraino Zelens’kyj non ha convinto Putin ad accettare una tregua, ma ha convinto molti leader europei a non fidarsi più dell’America.
L’apertura di una guerra commerciale contro gli alleati asiatici di quest’ultima fa il gioco della Cina, non già di chi la vuole contenere. Violare norme ed accordi internazionali, come quelli dell’Organizzazione
mondiale dei commerci (Omc), rendendo illegittimo il proprio comportamento, legittima i regimi autoritari a fare lo stesso.
Alzare i dazi verso tutti i Paesi, attraverso relazioni bilaterali di forza, suscita reazioni nazionaliste diffuse, non solo nel commercio. Se si impone il nazionalismo di America First, allora anche altri Paesi ricorreranno al loro nazionalismo per difendersi (come ha fatto il Canada o il Messico).
Sul piano della sicurezza, il nazionalismo di un Paese grande come l’America giustifica il nazionalismo dei Paesi meno-grandi come l’Iran, per i quali tutto sarà lecito per proteggersi.
Proprio per evitare il ripetersi delle degenerazioni nazionaliste si è costruito, nel secondo dopo-guerra, su iniziativa americana, un ordine internazionale basato su regole e istituzioni multilaterali.
Gli istinti culturali di Trump, perché condivisi dalla sua Presidenza, mettono in discussione quell’ordine internazionale senza che ci sia una discussione. Insomma, Trump è un “sistema”, organizzativo e culturale, non solo un presidente. I nostri leader farebbero bene a parlargli in nome del “sistema” europeo, se non vogliono essere sbeffeggiati di essere andati a Washington D.C. per “baciargli il sedere”.
(da “il Sole 24 Ore”)
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