TSIPRAS FIRMA L’ACCORDO E ORA RISCHIA LA POLTRONA: 30-35 DEPUTATI DI SYRIZA PRONTI A DIRE NO
CONTRARIA ANCHE LA PRESIDENTE DELLA CAMERA
Dalla festa di piazza alla depressione. In una sola settimana.
Il premier greco Alexis Tsipras non fa nemmeno in tempo a tornare ad Atene, dopo la nottataccia di Bruxelles, che in patria già gli si scatena il processo per quell’accordo che, dicono nel suo partito e nella sua maggioranza di governo, “non doveva firmare”. Sono almeno 30-35 i deputati di Syriza pronti a votare no in Parlamento al pacchetto di misure imposte dalla Troika, perchè l’intesa di ieri decide anche il ritorno del controllo della Troika sulla crisi greca.
Anche i 13 deputati di Anel, partner di maggioranza sebbene di destra, annunciano il loro voto contrario.
La maggioranza di Tsipras conta su 162 voti: se le cose stanno così, il pacchetto di riforme potrà essere approvato solo con i voti del Pasok, Nea Democratia e To Potami, partiti che hanno già dato il loro via libera al premier.
Ma dopo? Syriza ribolle, il destino di Tsipras come presidente del Consiglio è appeso a un filo, mai così sottile.
Tanto per iniziare, non è affatto detto che il Parlamento ellenico riesca a rispettare al scadenza di mercoledì prossimo, imposta dagli interlocutori europei per l’approvazione delle misure decise in nottata.
Perchè la presidente del Parlamento, Zoe Konstantopoulou, amatissima dalla base di Syriza, non è d’accordo con l’intesa firmata da Tsipras.
Konstantopoulou, 39 anni, soprannome ‘Rambo’, figlia di Nikos (ex presidente del Synaspismos, embrione dell’aggregazione di partiti di sinistra che è Syriza), potrebbe essere la vera spina nel fianco di Alexis, insieme all’ala sinistra di Syriza, s’intende.
Già la settimana scorsa, la presidente, acclamatissima in piazza domenica notte nella festa per la vittoria dei ‘no’ al referendum, ha cercato di ritardare il voto sul mandato per il premier a trattare con Bruxelles.
Mandato che alla fine è passato a larga maggioranza con 251 voti (i deputati sono in tutto 300), ma lei, Zoe, si è astenuta.
E adesso smentisce le voci che la vogliono dimissionaria dalla presidenza.
Tutt’altro: sta pensando ad una ‘mozione di censura’ per ritardare l’approvazione del pacchetto imposto da Bruxelles. Per presentare la mozione servono solo 50 firme.
Se passasse, il governo ellenico non rispetterebbe la scadenza di mercoledì e sarebbe già in difetto con i creditori. Un vero caos.
Ed è questo il primo ostacolo che Tsipras incontra in patria.
Poi c’è il rebus dei numeri in aula, qualora la piattaforma riuscisse ad arrivare al voto. Vassilis Primikiris, ala sinistra di Syriza, prevede “almeno 30-35 defezioni nel partito”.
Cui vanno sommati i 13 di Anel, il partito del ministro della Difesa, Panos Kammenos, alleato di governo di Tsipras, profondamente scontento dell’intesa raggiunta in nottata.
Certo, Tsipras può contare sui 106 voti delle tre forze disponibili a dire sì: Nea Democratia (conservatori, 76 parlamentari), To Potami (liberali, 17 parlamentari) e Pasok (socialisti, 13 parlamentari).
Con i loro voti, l’intesa passerebbe. Ma Alexis potrà restare premier con una maggioranza diversa?
Su questo punto che le diverse anime di Syriza sono paradossalmente d’accordo: no.
Argiris Panagopoulous, che considera l’accordo di Bruxelles “difficile ma da accettare”, è sicuro che, comunque vada in Parlamento, “Syriza non darà i suoi voti per un governo di unità nazionale o tecnico”.
Al limite, ci dice al telefono da Atene, “si può anche pensare ad un governo di minoranza. E se tutto casca, si va al voto a settembre e Tsipras vincerebbe di nuovo perchè Syriza non ha concorrenti sulla scena politica greca: è l’unica forza che ha tentato di combinare qualcosa, gli altri si sono arresi subito ai dictat della Troika.
E ora non hanno voti sufficienti per sostenere un governo tecnico senza Syriza”.
Il che, sulla carta, è vero. Gli unici disponibili ad un’operazione del genere sarebbero i soliti Nea Democratia, To Potami e Pasok: 106 voti, non bastano.
Ma quella di Panagopoulous è la versione soft.
Primikiris invece è fuori di sè dalla rabbia. Non si capacita di come sia potuto accadere. “Mi chiamano tutti e mi chiedono perchè Tsipras ha firmato”, ci dice al telefono.
E prova a darsi una spiegazione: “Non basta dire che avevamo la pistola alla tempia, che abbiamo le banche chiuse con un problema enorme di liquidità . Questo non basta. Abbiamo commesso errori, anche come governo”.
Quindi sbotta: “Non si può andare a trattare senza un piano B. E il nostro piano B era l’uscita dall’Eurozona. Invece Tsipras è partito dal presupposto che bisogna rimanere nell’Eurozona ad ogni costo. Così non poteva andare bene”.
Che è un po’ l’idea di Yanis Varoufakis, l’ex ministro dell’Economia sacrificato sull’altare della trattativa con i creditori la sera stessa del referendum.
Primikiris era d’accordo sull’idea di chiedere a Varoufakis un passo indietro: “Così eliminiamo gli alibi della Merkel”, ci diceva ad Atene all’indomani della consultazione referendaria. Eppure ora è furioso.
“Stanotte a Bruxelles — continua – c’è stato un colpo di stato politico contro la volontà di un intero popolo che solo una settimana fa ha votato ‘no’ con più del 60 per cento dei voti. Così facendo, si è messa in discussione la stessa idea di Europa. Sono 5 anni che provano con la stessa medicina e ancora insistono. Ora ci chiedono anche di svendere un patrimonio di 50 miliardi di euro: significa che dobbiamo svendere anche isole e chiese! Se questa intesa passa, tra un anno la gente non sarà in grado di pagare le tasse. C’è un problema di sovranità popolare che questa Europa non ha rispettato: non lo ha fatto Merkel. Francia e Italia hanno tentato di prendere le distanze ma nè Renzi, nè Hollande hanno la forza di reagire…”.
Il governo Tsipras è appeso ad un filo.
La settimana si annuncia lunghissima: nel weekend si riunisce anche il comitato centrale di Syriza e lì i dissidenti potrebbero aumentare, rispetto ai parlamentari.
Al ritorno da Bruxelles, il premier vede i ministri delle Finanze, Euclid Tsakalotos, il fedelissimo ministro Nikos Pappas, un altro ministro Alekos Flaburaris e il ministro dell’Interno Nikos Voutsis.
Non incontra il ministro dell’Ambiente Panagiotis Lafazanis: il primo ad alzare il cartellino rosso contro l’intesa, sia la scorsa settimana che oggi.
Anche lui come Zoe Konstantopoulou.
(da “Huffingtonpost”)
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