TUTTO QUELLO CHE IL GOVERNO HA FATTO E DI MAIO NON DICE
IL NON AUMENTO DELL’IVA E’ STATO AGGRAVATO E SPOSTATO DI UN ANNO, LA MARCHETTA AI BALNEARI CI COSTERA 1,5 MILIARDI DI AMMENDA, ASSUNZIONI PUBBLICHE BOCCIATE, PERSI 4 MILIARDI CON LO SPREAD, MUTUI ALZATI, TAGLIO DI 600 MILIONI ALLE FERROVIE, BLOCCO DELLA INDICIZZAZIONE DELLE PENSIONI, AFFIDAMENTO DIRETTO DEI LAVORI SENZA APPALTO AI COMUNI
Luigi Di Maio ha presentato agli italiani la lista delle tante cose buone che sono entrate nella legge di bilancio (sbagliando, visto che è la legge di bilancio 2019 e non 2018) invitando i suoi sostenitori a farla vedere “a chi ancora è scettico su questo Governo”.
Segue una lunga lista di cose “fatte” tra cui ad esempio il non aumento dell’Iva — per il 2019, perchè per il 2020 e il 2021 il discorso è leggermente diverso — oppure l’esclusione dei balneari dalla Direttiva Bolkestein, che per essere “fatta” prevede quantomeno un accordo (che non c’è) con l’Unione Europea, visto che è una palese violazione delle norme comunitarie.
Ma questo è in governo che si è dato da fare, e nella lista di Di Maio mancano molte cose.
Cose fatte ma che — in nome dell’onestà e della trasparenza — non dette.
Innanzitutto bisogna ricordare a Di Maio una cosa.
Nessuna delle cose “fatte” di quella lista è fatta perchè al momento non c’è un voto che certifichi che tutto quello che il vicepremier dice essere stato fatto sia stato approvato.
Mancano undici giorni alla fine dell’anno e la legge di Bilancio modificata secondo le richieste di Bruxelles deve ancora essere approvata al Senato (e dovrà tornare alla Camera, che ha lavorato per niente su una legge che non vedrà la luce).
Tra le tante conquiste del governo del cambiamento c’è ad esempio l’aumento dei fondi alla ricerca. Uno stanziamento di 40 milioni di euro che fa passare la spesa dallo 0,16% del Pil allo 0,16% del Pil.
Ma al tempo stesso, e Di Maio non lo dice, nel maxiemendamento presentato al Sento viene introdotto il blocco delle assunzioni nelle Università fino a novembre 2019 che fa il paio con il blocco del turnover dei dipendenti pubblici.
Nella lista di Di Maio non sono entrati, sicuramente per motivi di spazio e non di propaganda, provvedimenti come l’aumento dell’Ires per enti no profit che ha fatto infuriare la CEI oppure la norma che i Verdi hanno definito “sfascia centri storici” che consentirà di vendere alla speculazione edilizia il patrimonio dei centri storici italiani. Di Maio nella sua lista non parla molto di tasse, ad esempio dell’istituzione di un’imposta al 3% sui servizi digitali — una Web Tax — a carico di soggetti che nell’esercizio di attività di impresa prestino servizi digitali e che superino determinate soglie di ricavi.
La parte del leone la fanno però i costi nascosti nei giochini e nelle strategie adottate dal governo quando si dichiarava “irremovibile” sulla linea del Piave del 2,4% del rapporto deficit/Pil.
Costi che il Paese sta già iniziando a pagare. Ad esempio mentre l’esecutivo giocava a fare il duro con la Commissione Europea presentando e votando alla Camera una legge di bilancio che poi si è dovuto rimangiare gli italiani hanno scoperto che — grazie allo spread e al rating del nostro paese — finanziare il debito pubblico è diventato più costoso. Cento punti di spread in più valgono all’incirca 2 o 3 miliardi di interesse da pagare.
Questo significa che la brillante conduzione della trattativa con l’Europa è costata all’incirca 700 milioni di euro solo di interessi.
Senza contare l’aumento del costo dei prestiti bancari. Ci sono poi le perdite registrate dall’andamento della Borsa che dal 4 marzo ha visto diminuire di 198 miliardi di euro il valore di mercato delle obbligazioni e delle azioni quotate a Piazza Affari.
Secondo la Fondazione Hume dal giorno(31 maggio) del debutto del governo giallo-verde al 7 dicembre la perdita di ricchezza finanziaria del Paese ammonta a 89 miliardi. Se assumiamo però la partenza del 4 marzo, giorno delle elezioni, allora la perdita schizza a 244 miliardi. Anche la guerra all’Europa sulla Bolkestein inaugurata nei giorni scorsi potrebbe costare caro, si parla di 1,5 miliardi di euro. Bazzecole
La Manovra del Popolo la pagheranno gli italiani.
Di Maio non lo scrive ma la legge di bilancio prevede la la revisione delle ‘clausole di salvaguardia Iva’ per gli anni 2020-2021.
Nel 2019 l’Iva non aumenterà , ma per evitare l’aumento nei successivi due anni serviranno 24 miliardi di euro. E non sembra che il governo sappia dove cercare. C’è poi il curioso caso, e qui Salvini dovrebbe dare una spiegazione, dell’aumento delle accise. La manovra prevede un ulteriore gettito di 400 milioni di euro l’anno a partire dal 2020.
I seimila euro di incentivi per l’acquisto di auto elettriche che si legge nella lista di Di Maio hanno come “contropartita” una simpatica Ecotassa che penalizzerà soprattutto le auto di media cilindrata, ovvero quelle acquistate da chi di soldi non ne ha già molti.
Gli amanti della mobilità sostenibile saranno senza dubbio contenti di sapere che la manovra prevede una rimodulazione delle risorse finanziarie per le Ferrovie dello Stato per 600 milioni di euro.
I sostenitori della necessità di riequilibrare la situazione economica all’interno del Paese faranno salti di gioia quando scopriranno che è in programma una rimodulazione delle disponibilità di cassa del Fondo per lo sviluppo e la coesione territoriale destinato a misure per il superamento degli squilibri socio-economici territoriali, per 800 milioni di euro per l’anno 2019.
Ma non è tutto: oggi Gianluigi Paragone ha dichiarato che il raddoppio della deducibilità IMU sui capannoni è un aiuto alle imprese.
Peccato che allo stesso tempo la manovra abbia abrogato la deduzione fiscale per investimenti in beni strumentali nuovi.
Il che significa che chi ha un capannone — magari sfitto — non ci pagherà l’IMU mentre chi invece vuole rinnovare il parco computer per migliorare la produttività ne pagherà di più. Geniale vero?
Ce n’è anche per gli amanti della trasparenza e dell’onestà , che sicuramente non mancano tra i sostenitori del governo.
Per loro c’è la possibilità per sindaci e Pubblica Amministrazione di procedere con l’affidamento diretto (ovvero senza gara d’appalto) di lavori fino a 150mila euro (attualmente è 40mila euro). Non serve molta fantasia per immaginare chi potrà avvantaggiarsene.
(da “NextQuotidiano“)
Leave a Reply