UN’OMBRA SULLA VITTORIA PREOCCUPA BERLUSCONI: IL VOTO DI OPINIONE VA VERSO I CINQUESTELLE
AZZURRI TRAINATI DAGLI IMPRESENTABILI E IL CROLLO DI RENZI NON LO RENDE FELICE
Al netto della scontata (e ostentata) soddisfazione per la vittoria, e dell’orgogliosa rivendicazione del suo apporto decisivo, che Silvio Berlusconi affida a un post su facebook, al netto di tutto di questo il voto siciliano, letto anche dalle parti di Arcore, è assai più complesso di come appare.
Perchè è certo una vittoria politica, ma non un plebiscito elettorale per il centrodestra. E non è un caso che quella vecchia volpe del Cavaliere si limita a sottolineare il ruolo di Forza Italia, determinante nel mobilitare i moderati, e nulla più.
Senza nominare alleati e cucinare ricette per l’osteria dell’avvenire.
Il voto siciliano, che sarà materia di analisi dell’infallibile Alessandra Ghisleri nei prossimi giorni, apre una dinamica politica nuova. E non del tutto positiva, letta con gli occhi del vincitore.
Vediamo perchè: la volta scorsa il centrodestra andò diviso, Nello Musumeci (sostenuto dal Pdl) che prese il 25,73 e Gianfranco Miccichè il 15,41. Rispettivamente 521.022 voti, l’altro 312.112. Totale: oltre 833mila voti.
Questa volta, a sostegno di Musumeci c’è tutta la coalizione, la somma non fa il totale. Il candidato presidente, alla fine, raccoglie oltre 750 mila voti. Dunque, meno della somma delle liste della volta scorsa.
Significa che il centrodestra sta nelle sue dimensioni fisiologiche, anche se con una flessione e ben lontano dai fasti di un tempo quando il Pdl viaggiava tra il 40 e 50 per cento nell’Isola.
E nell’ambito di queste dimensioni fisiologiche va molto bene Forza Italia, trainata però dal voto di notabili, signori delle preferenze e “impresentabili”.
Un esempio su tutti, in attesa dei dati definitivi, il dato di Messina, dove Luigi, pargolo di Francantonio Genovese, è il primo degli eletti e la lista di Forza Italia traina coalizione verso record regionale, con Musumeci al 50 per cento circa.
Nel complesso Forza Italia raccoglie il 16 per cento. In termini assoluti circa 270 mila voti, cifra superiore al dato del Pdl la volta scorsa: 247 mila.
Ed è il primo partito della coalizione, egemone rispetto agli alleati sovranisti. Anche se, da quelle parti, c’è una differenza non irrilevante tra Giorgia Meloni e Matteo Salvini.
La lista Alleanza per la Sicilia (Fdi e Lega) supera di poco il quorum del 5 per cento, confermando la grande difficoltà per il leader della Lega di sbarcare al Sud.
Il paradosso di questa storia è: certo il contesto siciliano aiuta il Cavaliere, con quel robusto esercito di notabili e voto clientelare — a proposito: i Popolari e autonomisti di Saverio Romano, eredi del cuffarismo si attestano al 7,2, oltre 120 mila voti — ma lo proietta sul piano nazionale su un pianeta del tutto nuovo, senza più le antiche certezze del Nazareno.
Il pianeta in cui crolla Renzi, partner di un Nazareno di governo, e in cui però il suo crollo viene intercettato non dalla destra (moderata o radicale che sia) ma dai Cinque Stelle.
Ecco l’elemento nuovo, ragionando su un piano nazionale: quello dei pentastellati è il vero exploit.
La volta scorsa Cancelleri raggiunse il 18 per cento, ovvero 368mila voti. Questa volta la sua lista ha raccolto oltre 442mila voti, ma come candidato presidente sono oltre 600mila i siciliani che hanno messo la croce sul nome.
C’è voto di opinione, radicalizzato, frutto della crisi del renzismo e più in generale della sinistra che considera “utile” andare verso i Cinque stelle, per tanti motivi: per punire Renzi, per fermare l’avanzata della destra, per protesta, insomma per tante ragioni, ma comunque si restringe il perimetro della destra.
Astensionismo alto, voto verso i Cinque Stelle: proiettati sul piano nazionale i dati configurano una debolezza del Cavaliere lì dove era forte, proprio nel voto di opinione, quando era un campione dell’anti-politica.
Insomma, lo schema cambia perchè il crollo di Renzi fa crollare il Nazareno, ma Berlusconi, a differenza di altri, non parla di un “modello Sicilia” da riprodurre.
Come non parlò di un modello Liguria dopo la vittoria di Toti, o di un modello Genova. Segno che, in definitiva, non ha gioito affatto della debacle di Renzi e del Pd.
(da “Huffingtonpost”)
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