VENEZIA CORROTTA CERCA UN NUOVO LEONE
LO SCANDALO MOSE RISCHIA DI TRAVOLGERE ANCHE IL PD…VENEZIA SOFFOCATA DEVE TROVARE UN NUOVO DOGE
Il sindaco lo hanno arrestato mentre era in carica, nella città più bella e famosa del mondo.
È del Pd, anche se il partito si è affrettato a precisare che proprio iscritto non era. Quando Giorgio Orsoni ha vinto, tuttavia, è stato celebrato come se lo fosse.
Da quel giorno di giugno nelle stanze dei Dogi c’è un commissario, si chiama Vincenzo Zappalorto fa il prefetto e viene da Gorizia.
Un’intera classe politica è stata decapitata, 35 persone agli arresti e siamo — dicono in procura — all’inizio.
Nelle sedi dei partiti c’è silenzio. Bisogna trovare un sindaco nuovo, bisogna fare le primarie, non è ancora deciso nè come nè quando per la semplice ragione che non c’è chi decida: hanno tutti paura.
Un paio di nomi sussurrati ci sarebbero: sono Felice Casson e Nicola Pellicani, a domanda precisa hanno risposto qui che sarebbero disposti, sì, ma ad alcune condizioni. Liste civiche avanzano.
Vecchi potenti rivendicano gloria.
Il movimento Cinque stelle si scalda a bordo campo. A marzo, se si voterà a marzo, si farà trovare pronto. Lo spettro di Livorno incombe.
Massimo Cacciari, filosofo, ex sindaco: «Se va avanti così sei mesi quel che resta del Pd arriva sfibrato, esausto alla meta. E perde».
Siamo a Venezia, il mondo intero guarda e non capisce, domanda che succede. “Questa è l’Italia”, ha scritto il New York Times.
Quel che succede a Venezia è, in sintesi estrema, questo: c’era e c’è un sistema corruttivo di geometrica potenza e millimetrica precisione, un’agenzia di assegnazione delle mazzette senza paragone per longevità che per decenni ha preso soldi pubblici destinati a grandi opere e li ha distribuiti a tutti ma proprio a tutti — magistrati e generali della guardia di finanza, politici di ogni latitudine, costruttori, segretarie — in modo che non potessero mai aprir bocca e vivessero felici e contenti.
L’agenzia prende il nome di Consorzio Venezia Nuova ed è stata concepita nella metà degli anni 80 da due politici i cui nomi diranno poco ai più giovani, Gianni De Michelis per il Partito socialista e Carlo Bernini per la Dc: erano all’epoca autentici fuoriclasse del ramo.
Quasi subito il Consorzio stabilì che fra le grandi opere bisognava fare per prima, senz’altro, il Mose.
Si tratta di un’opera monumentale che sulla carta pretende di impedire all’acqua alta di allagare la città , fenomeno foriero di notevoli disagi per chi non vada a sposarsi in gondola ma debba magari entrare in ufficio ogni mattina alle otto.
Si è pensato dunque di costruire cassoni grandi come palazzi di sette piani, inabissarli in prossimità delle tre bocche di porto e aprirli all’occorrenza, cosicchè il lavoro combinato di aria/acqua impedisca alle correnti di spingere in città la marea.
È più complicato di così — scettici in grandissimo numero, in questi trent’anni, sulla possibilità di fermare il mare con tre enormi bicchieri — e assai più costoso di quanto si possa immaginare, ma è per intendersi.
Sta di fatto che le uniche correnti che il Mose ha per ora governato sono quelle politiche.
Non ha fermato la marea (sarà pronto forse con anni di ritardo nel 2016) ma ha intanto portato in carcere o comunque fuori partita per sempre i califfi della città e i loro discepoli.
Dal faldone dell’inchiesta della Procura sul sistema delle mazzette due formule si stagliano luminose: gli “impegni non trasferibili in atti statutari” che il presidente del Consorzio Giovanni Mazzacurati illustra a Piergiorgio Baita nel passaggio di consegne. Una formula elegantissima che indica quel che si deve fare ma non si può scrivere: mazzette per tutti.
Come darle e perchè? Sempre, per un “fabbisogno sistemico”, indipendentemente dall’utilità di quella persona in quel momento. Laura Puppato, a lungo capogruppo Pd in consiglio regionale: «Andavo a chiedere conto di certe stranezze a magistrati, autorità , finanzieri. Mi tranquillizzavano, minimizzavano. Ora capisco: erano tutti a libro paga».
Il Magistrato alle acque, i giudici contabili, l’ex comandante della Finanza generale Speziante, il “tesoriere” del Pd Giampietro Marchese, l’onnipotente ex governatore berlusconiano Galan.
Felice Casson, ex magistrato e senatore Pd, area Civati: «Ora capisco perchè il Pd non ha mai votato un documento sul Mose. Prendevano soldi tutti».
Non tutti, ma molti.
Il sindaco Orsoni ha patteggiato, dopo essersi dimesso, e ha fatto sapere che la somma per la campagna elettorale messa a sua disposizione dal Consorzio lui l’ha lasciata sul tavolo, era per il partito, qualcuno è passato a ritirarla.
L’uomo di fiducia di Bersani a Venezia è stato a lungo Davide Zoggia, già presidente della Provincia e fidatissimo consigliere del segretario, per lui responsabile Enti Locali del partito.
Con Errani e Penati il terzo degli uomini di riferimento in Emilia Lombardia e Veneto.
«Zoggia ha sempre negato ogni addebito, ma un sistema è un sistema e a non conoscerlo, da posizioni di vertice, si passa quanto meno da ingenui», dice Casson.
A lui si sono avvicinati anche i grillini: gli hanno chiesto se si voglia candidare, in questo caso potrebbero forse confluire.
I sondaggi riservati lo danno 11 punti avanti al primo degli avversari. Lui dice che sta bene a Roma, dove vive da 9 anni e dove lavora, in Senato.
Gli si illuminano gli occhi, tuttavia, a parlare di Venezia: «Credo che se mi candidassi, alla fine, molti altri rinuncerebbero. Ma dovrei e vorrei farlo semmai con una lista civica, non col Pd. Vorrei carta bianca sulla squadra, e non credo proprio che me lo lasceranno fare»
Casson, che ha un curriculum limpido di magistrato antiterrorismo e ambientalista (Gladio, neofascisti, petrolchimico, servizi) ha 61 anni ed è di Chioggia.
Anche di lui Massimo Cacciari parla come di «un esponente di una stagione finita». Dice, Cacciari: «In una situazione come questa l’unica strategia possibile per il Pd è trovare una soluzione di grande rinnovamento. Persone giovani e possibilmente competenti, non sarò certo io a fare un discorso da rottamatore ma a Venezia davvero si deve rompere col passato. Noi non abbiamo un Renzi, nessuno che abbia quell’aggressività potente, quella comunicativa. Serve un gruppo. Bisogna indicare subito la squadra, assessori compresi. I giovani ci sono, si facciano avanti. Si dovrebbe votare subito, a novembre. Un elettrochoc ha più possibilità di successo dell’agonia».
L’uomo a cui pensa Cacciari è Nicola Pellicani figlio di Gianni, fondatore della fondazione che porta il suo cognome e animatore del Festival della politica.
Pellicani è capo della redazione di Venezia- Mestre della Nuova Venezia, ha 53 anni, è mestrino.
Giorgio Napolitano, amico carissimo di suo padre, è andato almeno cinque volte a trovarlo di recente, da ultimo ad agosto — unica volta resa nota al pubblico.
Famiglia riformista. La storia ha sempre un risvolto familiare: «Quando ci fu il celebre scontro Casson-Cacciari, che Casson vinse al primo turno e Cacciari al secondo, nel 2005, mio padre sostenne Casson. Anche io lo votai», racconta Nicola.
Cacciari indica oggi come candidato chi allora sostenne il suo avversario. «Il problema è che Venezia ha davvero bisogno di buttarsi alle spalle quarant’anni di corruzione endemica. Il porto governato dall’ex sindaco Costa a Nord, l’aeroporto in mano a Enrico Marchi, uomo di Galan, a Sud: la città è stretta in una morsa, nuovi progetti monumentali avanzano, scavare in Laguna un tema all’ordine del giorno, per far passare le grandi navi, e l’ombra del Mose che nessuno sa se funzionerà davvero, di cui nessuno dice chi spingerà il bottone».
Quello che serve a Venezia — dice Pellicani — «è un po’ di decoro, un po’ di buon senso, un po’ di serietà . Sarebbe già molto, per ripartire».
Non convinti che sia abbastanza i movimenti civici preparano le loro liste. Si mormora della candidatura del libraio della Toletta, storica e unica libreria rimasta a Venezia, Giovanni Pelizzato.
A destra Brunetta pensa a un listone di “salute pubblica” in cui far confluire grandi nomi dell’impresa.
«Lasciano Venezia morire del sistema corruttivo che le hanno cucito attorno come un cappio di trina — dice Casson — Un solo doge in mille anni è stato decapitato. Un solo sindaco arrestato. Forse è meglio così: che non se ne occupino, che lascino che la forza delle cose si imponga all’improvviso ».
Come l’acqua alta quando arriva, e vediamo cosa potrà il Mose contro il dio del mare. “Sei ore sale, sei ore scende”, si dice in città — in lingua — della corrente e della vita. Tutto passa, basta aspettare.
Il prossimo matrimonio hollywoodiano a giorni.
Il prossimo sindaco è senz’altro meno importante, ai fini della rassegna stampa internazionale, dunque chi dovrebbe se ne occuperà quando avrà tempo, vedremo.
Concita De Gregorio
(da “La Repubblica”)
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