“VI SPIEGO COME FUNZIONA LA MACCHINA DELLA PROPAGANDA M5S: COSI’ DISTRUGGONO I LORO NEMICI”
PARLA ARNALDO CAPEZZUTO, EX CAPO DELLA COMUNICAZIONE M5S IN CAMPANIA… SI SCONTRO’ CON IL GRUPPO DIRIGENTE E FU MANDATO VIA
«La macchina del fango social non esisteva solo in Veneto. Anzi. È così dappertutto, e c’è una regia nazionale».
Chi parla così è Arnaldo Capezzuto, giornalista, ex capo della comunicazione ufficiale del M5S in Campania, la regione dei pezzi grossi Luigi Di Maio, Vincenzo Spadafora, Dario De Falco.
Capezzuto non è stato solo l’addetto alla comunicazione ufficiale M5S in Campania, ma l’uomo che ha messo in piedi l’ufficio comunicazione in Regione.
Un testimone oculare eccezionale. Parliamo con lui dopo che è esploso giorni a febbraio il caso della “macchina del fango” ufficiale M5S, quando emersero le istruzioni date in chat dal capo della comunicazione ufficiale veneta M5S ai candidati grillini: trovate qualunque cosa per distruggere gli avversari.
Succede anche altrove, Capezzuto?
«Pure a me capitava. Quando stavo qua in Regione»
Chi le girava, queste istruzioni?
«Rocco Casalino. Casalino ha la rete, i gruppi. Gestisce una serie di gruppi con tutti quelli che facevano comunicazione regionale».
Lei che ruolo aveva?
«Ero il capo della comunicazione M5S in Campania».
La figura del Veneto era il suo omologo?
«Sì. Tutti noi capi facemmo anche una riunione, a Milano, da Davide Casaleggio, in cui ci spiegava tutta la piattaforma Rousseau. In quell’occasione io fui l’unico che faceva piccole fotografie alle varie schede. Casaleggio si fermò e mi disse “ma lei che fa?. Qua non si fanno foto e non si registra, si prendono solo appunti delle cose più importanti, poi noi vi manderemo il materiale”».
Non un inno alla trasparenza.
«Nella pausa tra una slide e l’altra, Casaleggio jr diceva ad esempio “adesso, quando andate fuori, trovate un messaggio che possa servire, in modo indotto, alle battaglie del Movimento. Inventatevi cose che abbiamo fatto qua dentro.”. Invece quella era una seduta normale in cui stava spiegando Rousseau. Loro ce l’hanno, questa cosa. Dopo quell’incontro a Milano, hanno fatto queste liste, tutti gli uffici comunicazione delle Regioni in una lista whatsapp. Coordinate da Casalino; anche se lui sta al Senato ha tutto in mano. Poi c’è l’esperto di twitter, l’esperto di Facebook, e così via».
Ci può spiegare come funziona in pratica questa macchina?
«Funzionava così: nella pagina del gruppo regionale – che fa tot condivisioni, tot mi piace, eccetera – loro che dicono? Dato che in due anni tutte queste pagine regionali sono assai cresciute, loro – quando c’è una cosa importante anche a livello nazionale – per cui dovevamo organizzare una controffensiva, ci dovevamo coalizzare tutte le pagine su un obiettivo. “Io vi dico l’obiettivo – ci veniva detto – e voi procedete”».
Cioè in sostanza vi veniva detto: questo è l’obiettivo, distruggetelo?
«Bravo. Ci dicevano “voi, con modalità diverse, dovete veicolare questi contenuti che noi vi facciamo e vi trasmettiamo”. Loro monitoravano tutte le pagine di Facebook. In quell’occasione vennero consegnati tutti i vari indirizzi web, e tutti gli accessi».
Stiamo parlando delle pagine ufficiali.
«Pagine ufficiali, collegate all’attività istituzionale di promozione del lavoro dei consiglieri M5S».
Le password chi le aveva?
«Un incaricato di Casalino diventò amministratore in tutte le pagine d’Italia di sostegno all’attività regionale. Ma così anche degli enti locali, così anche delle altre strutture. Loro che facevano? Da Roma, da Milano, dove stava Casaleggio, questo incaricato ogni giorno faceva i diagrammi del flusso del movimento delle pagine e dei like. Quando dovevano fare attacco, ci dicevano: “Questo è il contenuto, Veneto, alle ore così fate questo; Campania, alle ore così fate questo”»
Anche con obiettivi di black propaganda?
«Sì. Quando tornai in Regione feci una riunione con tutti i consiglieri e dissi loro: sentite, io ho partecipato a un bando pubblico, sono un giornalista, la pagina regionale ufficiale M5S l’ho creata io, e non mi presto a questo gioco. La Ciarambino (Valeria, ex candidata regionale M5S, fedelissima di Di Maio, ndr.) disse “no, tu non ti devi permettere”».
Su questo lei fu mandato via, non le fu rinnovato il contratto?
«Sì, e anche sugli attacchi indiscriminati che loro facevano. Avviso di garanzia? “Sei un mafioso”, “sei un cattivo”, eccetera. Le faccio l’esempio più clamoroso che mi ha toccato, il caso Graziano, un esponente del Pd molto importante, accusato di concorso esterno in associazione camorristica, poi assolto, già dallo stesso pm. Io, prima di fare gli attacchi, avvisai tutti, Ciarambino e tutti i consiglieri: “Andateci cauti, dissi, ho letto le carte, diciamo solo che è un’accusa grave, ma nell’inchiesta, credetemi, non c’è niente, non c’è l’utilità e il ritorno diretto del consigliere”. Graziano, in quell’occasione, decresce, nei consensi. Non c’era prova. In seguito a quei fatti mi hanno cacciato. Non volevo sporcarmi facendo quelle cose».
Che successe?
«Chiamai Casalino. Era l’estate 2016. Ho tutto conservato, slide, fotografie, screenshot. Gli dissi: “Non sono d’accordo con voi, io non posso fare questa cosa, con questi contenuti aggressivi e non accertati”».
(da “La Stampa”)
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