XI JINPING, DOPO AVER ALZATO AL 124% I DAZI SUI PRODOTTI AMERICANI, INCONTRA IL PREMIER SPAGNOLO, PEDRO SANCHEZ, E LANCIA UN MESSAGGIO ALL’UE: “RESISTIAMO INSIEME ALLE PREPOTENZE UNILATERALI”
UN INVITO A COALIZZARSI CONTRO IL “BULLISMO” DEL COATTO DELLA CASA BIANCA … PECHINO HA A DISPOSIZIONE MOLTE ARMI: DAI 760 MILIARDI DI DOLLARI IN TITOLI DI STATO A STELLE E STRISCE, ALLA SVALUTAZIONE DELLO YUAN (GIÀ PARTITA) FINO ALLO STOP ALLA VENDITA DI TERRE RARE … BRUXELLES CONFERMA CHE LA CINA È UN’OPZIONE SOSTITUTIVA ALL’EXPORT NEGLI USA
«Resistiamo insieme alle prepotenze unilaterali». Xi Jinping ha di fronte Pedro Sanchez, ma è come se stesse parlando all’Europa intera. Il presidente cinese chiede di coalizzarsi contro il «bullismo» di Donald Trump. Non sarà facile raccogliere in toto la chiamata alle armi, ma intanto Pechino appare improvvisamente diventata un po’ più partner e un po’ meno «rivale sistemica», usando due delle definizioni con cui l’Unione europea è solita etichettare il gigante asiatico.
Di certo, la Cina continua a segnalare di non avere alcuna intenzione di cedere di fronte alla guerra commerciale lanciata dalla Casa Bianca. Lo fa con le misure pratiche, come quando ieri ha annunciato un ulteriore innalzamento dei dazi sulle importazioni di prodotti statunitensi: si passa dall’84 al 125%. Sarà l’ultima volta.
«Dato che le esportazioni americane sono già commercialmente non redditizie con gli attuali livelli tariffari, qualsiasi ulteriore aumento dei dazi statunitensi sui prodotti cinesi verrà semplicemente ignorato», ha annunciato il governo. Ma non manca certo anche la dimensione retorica, visto che i funzionari cinesi continuano a rispolverare battagliere frasi di Mao Zedong.
«Gli Stati Uniti cercano di intimidire alcuni Paesi, vietando loro di fare affari con noi, ma l’America è solo una tigre di carta», ha dichiarato Mao Ning, portavoce del ministero degli Esteri, usando la definizione di Washington data a più riprese dal «grande timoniere» durante la guerra fredda. La diplomatica, peraltro nata nella stessa città di cui era originario Mao (Xiangtan), ha aggiunto: «Non cadete nel bluff dell’America, basta una puntura e scoppierà».
Ospitare il premier spagnolo, primo leader europeo a visitare la Cina dopo il Liberation Day trumpiano, concede a Xi la possibilità di mostrarsi tutt’altro che isolato. E, anzi, intento a forgiare nuove forme di cooperazione. Il premier spagnolo vuole «relazioni solide» con Pechino, indipendenti dai rapporti intrattenuti con Washington.
La strada è ancora lunga e l’escalation potrebbe continuare. Anche se, escludendo altre misure non tariffarie alle ritorsioni di ieri, la Cina pare segnalare a Washington di essere disposta a rallentare lo scontro. Magari in attesa di negoziati, ma solo se e quando a Xi sembrerà che riaprire il dialogo non significhi mostrare debolezza.
Nel frattempo, si cercano sponde nel resto del mondo. Si parla già di «strategia 2030», anno entro il quale la Cina potrebbe ridurre o portare a zero i dazi sulle merci di tutti i Paesi «non avversari», eliminando parte delle restrizioni esistenti sugli investimenti esteri. Ma per resistere alla «lunga marcia» che gli esportatori cinesi si accingono ad affrontare, serve una netta accelerazione dei consumi interni.
L’obiettivo sarebbe quello di aumentarli del 30% nei prossimi cinque anni. Ma tra gli economisti cinesi c’è chi è pessimista. Yao Yang della Renmin University ha pubblicamente parlato della presenza di «due elefanti nella stanza» dell’economia cinese: le difficoltà finanziarie dei governi locali e la continua caduta del settore immobiliare.
(da La Repubblica)
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